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John Kenneth Galbraith – Storia della Economia (parte 2)

Posted by Masamune su febbraio 9, 2012

Economics in Perspective: A Critical History

 

AFFERMAZIONE CON L’AIUTO DI MARTE

Keynes aveva qualcosa da dire agli economisti più giovani di tutto il mondo; le sue opinioni erano un’alternativa gradita alla disoccupazione e alla miseria – che non potevano essere più difese come una fase fisiologica nell’autorisanamento del sistema economico.[…] Ma la risposta degli economisti più giovani di Harvard era specifica; era proprio attraverso di loro che il sistema keynesiano sarebbe giunto negli Stati Uniti.[…] Così Harvard, che in precedenza era stata una roccaforte dell’alta ortodossia, sarebbe stata il punto di germinazione dell’economia keynesiana negli Stati Uniti.

Gran parte della reazione americana (politica e accademica) a Keynes non venne fin dopo la guerra; solo allora egli ebbe l’onore di essere considerato come una minaccia.

Le cose andarono secondo le previsioni di Keynes. La guerra portò in gran numero i keynesiani in posizioni influenti. L’altro servigio svolto dalla guerra fu quello di portare vividamente in evidenza un modello statistico dell’economia che forniva un forte sostegno quantitativo alle idee keynesiane. Questo modello fu opera di Simon Kuznets. Kuznets diede la forma e i valori statistici presenti a quelli che oggi sono i concetti comuni di prodotto nazionale lordo, di reddito nazionale e dei loro componenti.[…] Un conto era resistere alla teoria di Keynes, un altro e molto più difficile era resistere alle statistiche di Kuznets.

Fino agli anni della depressione inoltrati, gli Stati Uniti non ebbero indicazioni numeriche utili sul livello o sulla distribuzione della disoccupazione. In questo c’era una certa logica classica; non si spendeva denaro per raccogliere informazioni su ciò che, in omaggio a un principio economico superiore, non poteva esistere.

Uno degli allievi di Kuznets, Robert Roy Nathan fu assegnato a dirigere la pianificazione al War Production Board dopo la sua creazione nel 1942. Nathan e il suo personale elaborarono un programma della produzione bellica – aerei, carri armati, artiglierie, navi –  chiamato il Victory Program, con tempi molto dettagliati. Esso superava di gran lunga ciò che altri a Washington, compresi i loro futuri colleghi al War Production Board, ritenevano possibile, o addirittura sensato. Ma c’erano le tabelle; esse mostravano quanto grandi fossero le risorse non utilizzate e disponibili.

Il concetto di prodotto nazionale lordo – che, forse per caso, in origine era essenzialmente ebraico – non era penetrato efficacemente nel Terzo Reich.

Simon Kuznets si pone come uno dei pilastri più importanti anche se meno riconosciuto del potere degli Alleati nella seconda guerra mondiale. Ecco riemergere anche qui i contributi di Kuznets: egli e i suoi collaboratori esposero le idee di Keynes in una forma statisticamente influente, mostrarono i vantaggi che si potevano ottenere in tempo di guerra rompendo l’equilibrio della sotto-occupazione e producendo con la piena capacità degli impianti, e fecero del prodotto nazionale lordo un’espressione familiare. Tutto questo è ancora altamente rilevante. Senza <<questa grande invenzione del XX secolo [la contabilità sociale] […], la macroeconomia sarebbe alla deriva in un mare di dati disorganizzati>>. Il contributo finale della guerra a diffondere le idee di Keynes consistette nell’avere mostrato che cosa la sua economia poteva realizzare attraverso l’intervento dello Stato.

Dal 1939 al 1944, il culmine corrispondente al tempo di guerra, il prodotto nazionale lordo in dollari costanti (1972) aumentò da 320 a 569 miliardi di dollari, ossia quasi raddoppiò. In mezzo a tanto parlare di privazione del tempo di guerra, le spese per il consumo personale in dollari similmente costanti non diminuirono, aumentando anzi da 220 a 255 miliardi. La disoccupazione nel 1939 fu stimata pari al 17,2 per cento della forza lavoro civile, mentre nel 1944 era scesa al valore irrilevante dell’1,2 per cento. […] Che questo fosse il risultato della pressione crescente della pubblica domanda sull’economia – gli acquisti da parte del governo federale di beni e servizi in questi anni aumentarono da 22,8 miliardi di dollari nel 1939 a 269,7 miliardi nel 1944 –  nessuno poteva metterla seriamente in dubbio. Marte, il dio della guerra, nel suo corso ineluttabile e imprevedibile, aveva fornito a favore di Keynes una dimostrazione superiore a ciò che si sarebbe potuto – o dovuto – chiedere.

Nel 1929 la massima aliquota marginale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche era stata del 24 per cento; essa aumentò durante gli anni del New Deal e nel 1945 era del 94 per cento.

Ma le voci della grande tradizione non furono affatto messe a tacere. Nel 1944, al culmine dello sforzo bellico e degli interventi del governo nell’economia, il professor Friedrich von Hayek, oggi all’Università di Chicago, tornò alla carica, affermando rigorosamente e severamente le regole dell’economia classica: <<il sistema dei prezzi assolverà la [sua] […] funzione solo se prevarrà la concorrenza, cioè se il singolo produttore dovrà adattarsi ai mutamenti di prezzo e  non potrà controllarli>>. Ma persino Hayek mise l’accento non sull’inefficacia dell’intervento dello Stato bensì sulla sua minaccia alla libertà. […] Quello della minaccia alla libertà di scelta non fu, durante gli anni di guerra, un tema convincente. Milioni di persone avevano goduto allora della libertà più diretta di occupazione e di denaro da spendere, una libertà che coloro che parlavano di libertà nel modo più solenne sono per lo più inclini a ignorare. […] Qui, ancora una volta, furono gli eventi, non gli economisti, a decidere: eventi taciti, senza voce, che, non essendo riconosciuti, non incontrarono resistenza.

MERIGGIO

Gli economisti di questi anni (dopoguerra) furono sicuramente saggi sotto un aspetto: essi scelsero il tempo giusto per operare su scala nazionale. Mai, da Adam Smith in poi, e neppure dopo il periodo di prosperità descritto, gli economisti guardarono con maggiore soddisfazione al loro operato o, cosa forse più importante, godettero di un consenso così generale. Tutti ricordano però che<<Giove abbate i Titani / Non quando lungi ancora è il compimento, / Ma quando stanno deponendo ultima / Pietra sul monte a coronoare l’opra>>. Verso la fine degli anni Sessanta Giove attendeva al varco gli economisti mentre si apprestavano a coronare il loro edificio keynesiano. Il colpo avverso fu in parte una conseguenza di un fraintendimento delle condizioni economiche nei venticinque anni di prosperità. In quegli anni una serie di forze espansive, del tutto indipendenti da ogni guida economica, avevano stimolato l’economia americana e mondiale. Fra queste forze c’erano l’impiego in spese per beni di consumo dei risparmi accumulati nel prospero tempo di guerra: tale accumulo di risparmi ammontava alla fine della guerra negli Stati Uniti a 250 miliardi di dollari.

Keynes aveva proposto di seppellire banconote in miniere di carbone abbandonate, perchè gli scavi per recuperarle avrebbero dato un contributo benefico all’occupazione e al potere di acquisto. Armi di costo molto elevato, inutilizzabili a causa della loro potenza quasi apocalittica, stavano ora assolvendo sempre più lo stesso fine economico del denaro sepolto.

Le previsioni sono, in realtà, intrinsecamente inattendibili. Se così non fosse, i loro autori non le renderebbero mai di pubblico dominio: un gesto di una generosità inimmaginabile. Se infatti tali informazioni venissero riservate per un uso pecuniario privato degli individui e delle organizzazioni che le fanno, potrebbero condurre a un incremento di ricchezza considerevole. Gli investimenti eseguiti in accordo con tale previsioni darebbero profitti del tutto certi; persone e organizzazioni in grado di operare infallibilmente accumulerebbero un attivo sempre maggiore. Una volta conseguita una tale perfetta certazza, il capitalismo, il sistema della libera impresa in ogni forma oggi nota, cesserebbe di esistere.

I venticinque anni di prosperità giunsero al termine. La fiducia esuberante di questo periodo aveva impedito, come abbiamo già detto, una conoscenza più approfondita dei problemi. La separazione fra macroeconomia e microeconomia permise di conservare in quest’ultima un approccio alla struttura concorrenziale in senso classico ma, come vedremo, distolse purtroppo anche l’attenzione da sviluppi profondamente avversi alla gestione della macroeconomica o keynesiana. Fu questa la sua grave asimmetria politica. Quel che era stato politicamente possibile contro la delfazione e la depressione non era politicamente possibile o realizzabile contro l’inflazione. E’ questa la triste storia che passeremo ora a esaminare.

CREPUSCOLO E VESPRO

La General Theory di Keynes era, principalmente, un trattato sulla Grande Depressione. Il problema era quello della disoccupazione e della diminuzione dei prezzi; i primi keynesiani dedicarono poca o nessuna attenzione all’inflazione e nessuna agli aspetti politici del suo contenimento.

Gli economisti, come sempre, non si diedero cura di ciò che non era visibilmente preoccupante (riferendosi all’inflazione). […] In queste nuove nuove circostanze, l’asimmetria politica divenne del tutto evidente. Mentre i consiglieri economici del presidente si erano recati una volta nel suo ufficio per elogiargli i meriti relativi di una diminuzione delle tasse o di più elevate spese pubbliche, ora vennero a parlargli di aumenti delle tasse e riduzione della spesa pubblica.

Ai fini della lotta contro questa dinamica (inflativa), la Rivoluzione keynesiana aveva lasciato un’eredità fortemente negativa. La determinazione dei salari e dei prezzi era un fenomeno microeconomico e la microeconomia era stata separata dalla sfera d’azione di Keynes e lasciata all’ortodossia classica di mercato. Ammettere il ruolo inflativo della spirale dei salari e dei prezzi equivaleva a distruggere il compromesso.

In Austria, il caso più avanzato e coronato da maggior successo, i controlli sui salari e un sistema associato di limitazione dei prezzi furono messi in atto in modo notevolmente formale attraverso quella che fu chiamata la politica del mercato sociale. In altri paesi il procedimento fu meno formale; i salari furono contrattati nell’ambito dei prezzi esistenti e con l’intenzione generale di mantenere stabili i prezzi.

Ogni studioso di economia che si fosse soffermato con troppa persistenza sul ruolo della politica monetaria nella guida dell’economia rischiava di essere chiamato uno strambo monetarista. Informazioni sulla liquidità monetaria disponibile – M o moneta spendibile direttamente, M’ o depositi bancari vincolati – si potevano ancora trovare in questi anni presso gli economisti di tendenze più esoteriche, ma nessun quotidiano forniva questi dati e, se venivano stampati, non attraevano alcuna attenzione o commento.

Negli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta era però in attesa che venisse il suo tempo la figura economica più influente della seconda metà del XX secolo; Milton Friedman dell’Università di Chicago, un fautore diligente, e persino infaticabile, della politica che sarebbe venuta a colmare il vuoto postkeynesiano, specialmente nei paesi di lingua inglese.

Friedman fu, e rimane, il principale esponente americano del mercato concorrenziale classico, che secondo lui esisteva ancora in forma sostanzialmente integra, a prescindere dalle conseguenze negative di un’intrusione governativa male ispirata. Monopolio, oligopolio e concorrenza imperfetta non ebbero una parte importante nel suo pensiero. Friedman si oppose energicamente a ogni sorta di regolamentazione governativa e di attività governativa in generale. La libertà, secondo lui, era massimizzata quando l’individuo era lasciato libero di usare il suo reddito a proprio piacimento. D’altra parte Friedman, a differenza dei suoi seguaci meno, raffinati, non era del tutto indifferente alla libertà derivante dall’avere del reddito da spendere. In quest’ottica egli formulò la proposta assistenziale più radicale del secondo dopoguerra. L’imposta sul reddito sarebbe dovuta, secondo la sua proposta , diminuire come sempre fino a zero all’approssimarsi alle categorie di reddito più basse. Ma nelle categorie più basse in assoluto lo Stato avrebbe dovuto ridistribuire reddito, assegnando sussidi di entità crescente al crescere del livello di povertà. Era questa una vera e propria imposta negativa sui redditi, un reddito minimo assicurato a tutti. Non molti economisti di sinistra avrebbero potuto rivendicare a se stessi un’innovazione di così grande rilievo.

Il contributo centrale di Friedman alla storia dell’economia fu, però, la sua insistenza sull’influenza dell’azione monetaria nel controllo dell’economia e, specificatamente, dei prezzi.

Come nella maggior parte delle relazioni statistiche, c’erano interrogativi su quale fosse la causa quale l’effetto e anche su quali fenomeni fossero semplici coincidenze.

Nessuno sapeva con certezza che cosa, nell’economia moderna, sia il denaro.

Alla prova dei fatti risultò che non era possibile controllare gli aggregati monetari. Friedman avrebbe infine accusato tanto il Federal Reserve System quanto la Bank of England, le banche centrali degl Stati Uniti e della Gran Bretagna, di grossolana incompetenza nei loro sforzi per controllarli. Nel 1983 il professor Friedman fu indotto a dire:<<Se la politica seguita dalla Federal Reserve è monetarismo, io non sono monetarista>>.

Il monetarismo avrebbe avuto anche il pregio di aggirare la scomoda asimmetria politica della linea economica keynesiana. Non sarebbe stato necessario alcun aumento di tasse nè alcun ampliamento delle funzioni del governo; l’intera politica monetaristica sarebbe stata condotta dalla banca centrale, negli Stati Uniti dal Federal Reserve System, con solo un personale direttivo trascurabile. Per alcuni la politica monetaria aveva (e ha) un’altra attrazione ancora maggiore, la quale era curiosamente, e persino imperdonabilmente, ignorata dagli economisti: quella di non essere socialmente neutra. Essa opera contro l’inflazione aumentando i tassi di interesse, i quali, a loro volta, mettono un freno ai prestiti bancari e alla risultante creazione di depositi, cioè di moneta. Gli alti tassi di interesse fanno molto piacere a persone e istituzioni che hanno denaro da prestare, le quali normalmente posseggono più denaro di coloro che non hanno denaro da prestare o, con molte eccezioni, di coloro che prendono a prestito del denaro. E’ questa una verità fin troppo evidente, come abbiamo già sottolineato a sufficienza. Nel favorire in questo modo individui ed enti ricchi, una politica monetaria restrittiva è in netto contrasto con una politica fiscale restrittiva, la quale, aumentando le imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, svantaggia i ricchi.

Il plauso al professor Friedman da parte dei ricchi conservatori, che è stato grande, è stato tutt’altro che immeritato.

Nell’ultima parte del decennio l’amministrazione dichiaratamente liberale del presidente Jimmy Carter negli Stati Uniti e il governo dichiaratamente conservatore del primo ministro Margaret Thatcher in Gran Bretagna avviarono una forte azione monetaristica. La Rivoluzione keynesiana fu messa in soffitta. Nella storia dell’economia l’età John Maynard Keynes cedette il passo all’età di Milton Friedman.

La grande azienda moderna soffre del grave handicap operativo dell’immortalità; non esiste una morte terapeutica.

Quanto l’etica e la pratica dell’organizzazione vengono ad abbracciare un numero sempre maggiore di dipendenti, l’equivalenza classica del costo marginale dei salari e del ricavo marginale diventa una caricatura inverosimile.

E’ questa la sorte della Rivoluzione keynesiana. Come molte altre cose in economia, essa fu giusta per il suo tempo, e il passare del tempo fu la sua nemesi.

IL PRESENTE COME FUTURO (1)

L’economia viene mantenuta nella tradizione classica o neoclassica prima di tutto dall’impegno intellettuale verso le idee stabilite. Questa è una costrizione molto forte. Ben pochi economisti sono disposti a rifiutare ciò che hanno accettato nella loro formazione anteriore e successivamente difeso ed elaborato nel proprio insegnamento, nei loro scritti e nelle loro conferenze. Abbandonare ciò che si è imparato e insegnato significa ammettere un errore precedente, una cosa a cui noi tutti opponiamo resistenza, così come resistiamo al pensiero esigente che si richiede per adattarsi al mutamento. Gli economisti non sono certo gli unici a trovare un compito del genere non solo scomodo ma addirittura doloroso.

Un’altra forza che tiene l’economia legata all’ortodossia classica e che continuerà a farlo è il potere – sottolineato in precedenza – dell’interesse economico. La grande dialettica del nostro tempo non è, come si supponeva in passato e come suppongono alcuni ancora oggi, quella fra capitale e lavoro, bensì quella fra l’impresa economica e lo Stato. Forza lavoro e sindacati non sono più i nemici primari dell’impresa e di coloro che ne dirigono le operazioni. Il nemico, se si trascura il ruolo mirabilmente e pericolosamente remnerativo della produzione militare, è il governo.

Durante la grave recessione dell’inizio degli anni Ottanta, negli Stati Uniti e altrove nel mondo industriale ci fu un declino nella produzione di una vasta gamma di beni e servizi. Non si pensava però che qualcuno avrebbe sofferto a causa di ciò che non veniva prodotto, eccezion fatta di nuovo per le abitazioni. Le privazioni di questo genere non ricevettero alcuna menzione. I casi di vera sofferenza venivano identificati nell’interruzione del flusso di reddito, ossia nella disoccupazione o nella perdita dell’impiego. Quest’ultima e non i prezzi elevati o la diseguaglianza della distribuzione del reddito, è chiaramente il timore sociale primario del nostro tempo. Nella moderna economia industriale l’importanza suprema della produzione consiste non nei beni che essa produce ma nell’occupazione e nel reddito che fornisce.

IL PRESENTE COME FUTURO (2)

Una visione perspicace della necessità di investimenti nel capitale umano – nell’istruzione nel senso più vasto – è implicita negli atteggiamenti economici giapponesi. Di qui derivano la forza lavoro estremamente competente e il vasto talento tecnico e amministrativo del Giappone. Nel successo giapponese ha un’importanza centrale anche l’assenza di investimenti, relativamente sterili e improduttivi, in operazioni e prodotti militari.

Il lavoratore giapponese viene assunto come parte integrante dell’impresa, e viene assunta per tutta la vita.

Gli economisti giapponesi della generazione presente – Hirofumi Uzawa dell’Università di Tokyo, che è considerato il principale economista giapponese; Shigeru Tsuru, che ha studiato ad Harvard ed è molto noto e ammirato negli Stati Uniti (e che in gioventù fu un importante studioso marxista); Ryutaro Komiya, che ha studiato anche lui in America e che insegna all’Università di Tokyo; e Kazushi Ohkawa, il pianificatore della contabilità nazionale delle entrate e dei prodotti del Giappone –  avranno negli anni a venire un riconoscimento crescente in tutto il mondo, assieme ad altri e ai loro successori. E, a differenza dei loro colleghi americani o britannici, essi avranno il sostegno di un’economia che funziona alla perfezione.

Di fronte alla concorrenza straniera, la grande azienda industriale ricerca tariffe e anche quote che la liberino dalla pressione delle costrizione del mercato. Dopo un elogio cerimoniale del libero mercato, si tende a far valere il bisogno di un’eccezione. Una ripresa di sentimenti e leggi protezionistici nei paesi industriali di più vecchia tradizione, che è già in corso attualmente, si affermerà in grado ancora maggiore in futuro. Un volta le tariffe protezionistiche si proponevano di proteggere industrie ai primi passi: oggi esse devono proteggere industrie vecchie e presumibilmente senili.

Un secondo progetto ben affermato per venire a capo della concorrenza è semplicemente quello di assumerne il controllo. Questo è lo scopo delle società internazionali e multinazionali. Queste società sono considerate da molto tempo uno strumento di aggressione, e persino di imperialismo, sulla scena mondiale. Molto più importante è il loro scopo protettivo, l’intento di sottrarsi alle costrizioni del mercato.

Negli Stati Uniti l’amministrazione Reagan ha ripetutamente messo da parte la sua retorica del libero mercato per andare in aiuto di banche sull’orlo del fallimento e di esportatori in difficoltà  e per proteggere dal libero mercato, a costi senza precendeti, certe categorie di agricoltori. Ancora una volta, prima si parla delle verità eterne della libera impresa e poi si argomenta a favore di una particolare eccezione. Il socialismo, al nostro tempo, non è una conquista dei socialisti, il socialismo moderno è il figio degeneredel capitalismo.E così sarà negli anni a venire.

In tempi recenti la distinzione fra microeconomia e macroeconomia è stata attaccata dai partecipanti a un convegno economico impeccabilmente nella tradizione classica, i quali hanno sostenuto che, quando si sa che stanno per essere adottate certe misure macroeconomiche – mutamenti nella tassazione, nella spesa pubblica, nella politica della banca entrale -, le si anticipa con il risultato di annullarne l’effetto. Un’attesa microeconomica razionale del mutamento macroeconomico sconfiggerà quindi la politica macroeconomica. In questa particolare posizione – la scuola delle attese razionali – c’è una qualità mistica che ne limita l’accettazione persino fra coloro che sono altrimenti favorevoli all’ortodossia classica. Essa rappresenta nondimeno un interessante indebolimento della dicotomia fra microeconomia e macroeconomia.   <— così si pensava nel 1987.

L’economia non ha un’esistenza utile separata dalla politica, e non l’avrà, così si spera, neppure in futuro.

Le idee economiche, come sostenne Keynes, guidano la politica. Ma le idee sono anche i prodotti della politica e degli interessi che questa serve.

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John Kenneth Galbraith – Storia della Economia (parte 1)

Posted by Masamune su febbraio 6, 2012

Economics in Perspective: A Critical History

Aristotele su schiavi e donne: “Dunque, è evidente che taluni sono per natura liberi, altri schiavi, e che per costoro è giusto essere schiavi […] quanto all’utilità, la differenza [fra gli schiavi e gli animali domestici] è minima: entrambi prestano aiuto con le forze fisiche per le necessità della vita” .

“Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo” .

La Legge di Gresham afferma che la moneta buona scaccia quella cattiva. Se io possiedo pesos messicani e franchi svizzeri userò i primi per compiere acquisti e terrò i secondi come riserva di valore. Sounds fair.

In Wealth of Nations, che si fonda in modo rigoroso sugli indirizzi del periodo mercantilistico, Adam Smith non lasciò fuori dalle sue critiche le società per azioni. I dirigenti di aziende e i loro portavoce che oggi citano Smith come fonte di ogni verità senza essersi dati la pena di leggerlo sarebbero stupiti e depressi nel sapere che egli non avrebbe permesso l’esistenza delle loro società.

Negli anni Trenta del nostro secolo, un giovane economista di Harvard, Wassily Leontief (nato nel 1906), tentò di sviluppare tavole che mostrassero che cosa ciascuna industria riceveva da – e vendeva a – tutte le altre, e per questa via il flusso del reddito attraverso il sistema e i suoi effetti. E si parlò, talvolta in tono lievemente irridente, del Tableau Economique di Leontief. Soltanto con grande difficoltà Leontief riuscì a mettere insieme il denaro necessario per la gigantesca compilazione statistica indispensabile al suo progetto; ma quando, nel 1973, ricevette per il suo lavoro il Premio Nobel per l’economia, gli atteggiamenti divennero più rispettosi. Chiamata <<analisi input-output>> o, più elegantemente, <<analisi intersettoriale>>, l’invenzione di Leontief era ormai diventata il pilastro principale di quei moderni modelli (che godono di un considerevole e remunerativo successo) il cui obiettivo consiste nel predire (non di rado sbagliando) il futuro dell’economia e l’effetto delle variazioni nei prezzi, nei salari, nei tassi d’interesse, nelle imposte e nella domanda quale si manifesta nelle singole industrie. Di nuovo, è qui visibile l’influenza lontana di Quesnay, della Francia e di Versailles.

Ci sono alcune lezioni economiche che non si imparano mai. Una è quella che è indispensabile la più profonda diffidenza verso l’innovazione nelle materie che interessano la moneta e, più in generale, il campo della finanza. Continua, infatti, a persistere l’idea che debba esistere una qualche maniera, rimasta fino ad ora sconosciuta, di risolvere grandi problemi sociali senza sacrifici; ma la verità pura e semplice è invece che non esiste. Gli ingegnosi progetti monetari e finanziari si rivelano infallibilmente – non si conoscono eccezioni alla regola – inefficaci, quando non si tratta di frodi ai danni del pubblico che non di rado si ritorcono sugli stessi che li hanno concepiti e attuati. Proudhon non fu il primo a riporre la sua fiducia nella magia monetaria, ma fu una delle prime voci in una tradizione che ancora sopravvive.

Wealth of Nations è un trattato enorme, disordinato, ricco di cose divertenti e scritto in una prosa ammirevole, Con la Bibbia e il Capitale di Marx, è uno dei tre libri che le cosiddette persone “colte” si sentono autorizzate a citare senza averli letti.

  • Sugli americani: <<la recente decisione dei quaccheri della Pennsylvania di liberare tutti gli schiavi negri ci dimostra che il loro numero non può essere molto grande>>
  • <<per la maggior parte dei ricchi il principale godimento delle loro ricchezze consiste nel farne mostra>>
  • Sui detentori dei titoli azionari: <<…ma la maggior parte di questi proprietari raramente pretende di capire qualcosa degli affari della società, e quando non prevale tra di loro lo spirito di fazione, essi non se ne curano, ma sono soddisfatti di ricevere quel dividendo semestrale o annuale che gli amministratori ritengano opportuno dare loro>
  • <<Il cantone svizzero di Unterwalden è colpito frequentemente da frane e inondazioni, ed è quindi soggetto a spese straordinarie. In queste occasioni la gente si raduna e si dice che oguno dichiari con la massima franchezza quanto possiede per essere tassato  in conformità.>>

In un altra pagina immortale (Smith) osserva che: <<la gente dello stesso mestiere raramente s’incontra, anche solo per divertimento e diporto, senza che la conversazione finisca in una cospirazione contro il pubblico o in qualche escogitazione per aumentare i prezzi>> .

Rispetto a Smith – o a Malthus Ricardo rappresenta un drastico cambiamento di metodo. Smith era empirico e induttivo; egli procedeva dalle sue diverse e ricchissime osservazioni personali alle sue conclusioni. Ricardo è teoretico e deduttivo. Muovendo da una proposizione evidente (o presunta tale), egli procede mediante un ragionamento astratto verso la conclusione plausibile o, forse, inevitabile. E’ un metodo che in futuro eserciterà una grande attrazione sugli economisti, perchè riduce gli sforzi del raccogliere informazioni e, se necessario, può essere scisso dalla sgradevole o scomoda realtà. Esso servì eccellentemente Ricardo. Il suo metodo e i suoi risultati condurranno in seguito i difensori del capitalismo e i suoi accaniti avversari,  e soprattutto Marx, a conclusioni tutte egualmente sicure e decise.

Secondo Ricardo un’iniezione di capitale e di tecnologia, con il conseguente effetto al rialzo sul prezzo di mercato del lavoro, potrebbero –  pensava Ricardo – continuare indefinitivamente. Il che va in contrasto con la sua Legge Bronzea dei Salari.

Secondo Ricardo la miseria è ineluttabile; la legge economica che la impone non può esser trasgredita. Questo è il capitalismo; così Ricardo ne distrusse la reputazione. Senza alcun dubbio, un difensore e un amico può recare molto danno.

Se i profitti rispecchiano la remunerazione del lavoro impiegato in passato nella formazione del capitale, allora qualsiasi reddito intascato dal capitalista è una grossolana forma di furto. Egli non vi ha nessun diritto: non fa che appropriarsi di quel che a rigore appartiene all’operaio. O comunque non sarebbe difficile presentare le cose in questo modo. E così le presentò, con imponenti conseguenze storiche, Karl Marx. L’argomento ricardiano – sorretto dalla Legge bronzea e dalla teoria del valore fondato sul lavoro – che il capitalista, per intascare la sua remunerazione, usurpa ciò che spetterebbe all’operaio avrebbe prodotto rivoluzioni.

<<Se Marx e Lenin meritano un busto (nella galleria degli eroi rivoluzionari) da qualche parte, in seconda fila, dovrebbe esserci posto per un effige di Ricardo>>

Adam Smith aveva osservato – lo si ricorderà –  che mentre non esistevano leggi contro associazioni create da mercanti o datori di lavoro per affermare la loro forza collettiva, nessuna tolleranza del genere proteggeva le associazioni operaie. John Stuart Mill richiamò vigorosamente l’attenzione sulla relativa impotenza degli operai. Ma in generale la tradizione classica si mostrava reticente sul tema del potere – e cioè sul fatto che nel sistema economico c’era chi era in grado di imporre o altrimenti ottenere l’obbedienza degli altri, e godeva le gratificazioni, il prestigio e il profitto che si accompagnavano a questa situazione. E’ una reticenza che persiste ancora oggi. Il perseguimento del potere e delle sue ricompense pecuniarie e psicologiche rimane – oggi come allora – il grande buco nero della scienza economica ortodossa. 

Il pensiero socialista contemporaneo e le idee di Harriet Taylor, nata Harriet Hardy, che nel 1851 divenne sua moglie (di John Stuart Mill)  e lo convertì all’idea, straordinaria per quell’epoca, che dovesse accordare alle donne il diritto di voto.

Sempre Mill scriveva: “Se dunque la scelta si dovesse fare tra il comunismo con tutte le sue possibilità ancora da esplicare, e lo stato presente della società con, tutte le sue sofferenze e le sue ingiustizie; se l’istituto della proprietà privata dovesse portare con sè, come conseguenza necessaria, che il prodotto del lavoro fosse distribuito come noi vediamo che avviene attualmente, cioè praticamente in proporzione inversa al lavoro – le quote maggiori a favore di quelli che non hanno mai lavorato del tutto, quelle appena un po’ più piccole a coloro il cui lavoro è puramente nominale, e così avanti in progressione discendente, con la remunerazione che diminuisce sempre di più via via che il lavoro diventa più gravoso e sgradevole, finchè il lavoro più massacrante e distruttivo non dà la sicurezza di poter guadagnare neppure il necessario per sopravvivere; se l’alternativa fosse tra questo e il comunismo, allora tutte le difficoltà, grandi o piccole, del comunismo, peserebbero sulla bilancia come polvere.

Fu Herbert Spencer, non Darwin, a regalare al mondo l’immortale espresione <<la sopravvivenza del più adatto>>.

Anche la carità aiutava l’inetto a vivere e contribuiva alla sua antisociale sopravvivenza; ma Spencer finì con l’accettarla. L’effetto della carità sul progresso sociale era incontestabilmente negativo, ma proibirla era d’altra parte una violazione inaccettabile della libertà dell’aspirante donatore.

Uno dei suoi più ardenti sostenitori (del darwinismo sociale) arrivò a proclamare che i <<milionari sono un prodotto della selezione naturale, i rappresentanti naturalmente selezionati della società per certe funzioni. Essi hanno alti compensi e vivono nel lusso, ma per la società si tratta di un buon affare>>. Come ho già avuto modo di osservare, per i figli dei ricchi fu davvero un bel regalo vedersi offrire idee del genere.

Karl Marx fu anche giornalista e durante il periodo del suo soggiorno londinese, finanziariamente difficile, si mantenne scrivendo per la <<New York Tribune>>, progenitrice della successiva <<New York Herald Tribune>> e portavoce di un rigido repubblicanesimo: fatto, questo, di cui tutti gli zelanti membri dell’attuale Partito Repubblicano statunitense dovrebbero essere profondamente consapevoli.  (la serpe in seno aggiungo io, lol)

<<Le idee dominanti di un’epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante>>, in tema di potere due proposizioni di Marx sopravvivono a questo clima ostile (il clima che vuole il Marxista come un essere infame): che i governi moderni servono gli interessi del potere delle imprese o degli affari; e che il pensiero economico ortodosso o correntemente accettato è in armonia con l’interesse economico dominante. Di queste due proposizioni si nutre il commento politico quotidiano. Su tali questioni molta gente, senza rendersene conto, parla con la voce di Marx.

Il Manifesto del Partito comunista invocò assieme a molte altre cose, un’imposta progressiva sul reddito, la proprietà pubblica delle ferrovie e delle comunicazione, l’istruzione gratuita, l’abolizione del lavoro infantinle e un’occupazione per tutti. Negli Stati Uniti del XX secolo , i riformatori di orientamente liberal sono largamente, cordialmente in sintonia con il Manifesto del Partito comunista. 

Le banconote <<continentali>> che, fungendo da sostituto della tassazione (o forse bisognerebbe dire di un sistema fiscale), finanziarono la Rivoluzione americana, suscitarono un’analoga censura. A essa risale un’espressione che ha trovato stabile cittadinanza nella lingua americana e che esprime una secca, totale condanna: <<Non vale un Continental>>.

In un miscuglio tipicamente americano di economia, sociologia e teologia, Beecher gettò un ponte sull’abisso che sembrava dividere irrimediabilmente Darwin, Spencer e l’evoluzionismo da un lato e l’ortodosso racconto biblico delle origini dell’uomo dall’altro. Egli riuscì a conseguire questo obiettivo proponendo una distinzione tra teologia e religione: la prima sarebbe per sua natura soggetta a evolversi, mentre la seconda – ovvero la Parola di Dio nel Genesi – è immutabile. Benchè si tratti di qualcosa che nessuno dopo di allora ha preteso di capire, questa distinzione aprì le porte delle chiese americane a Darwin, e di conseguenza a Spencer. E su un punto vitale Beecher fu perfettamente chiaro: Spencer, secondo lui, non faceva che dare espressione al volere divino: <<Dio ha inteso che i grandi siano grandi e i piccoli siano piccoli>>.

Wealth Against Commonwealth (titolo stupendo), di Henry Demarest Lloyd, edito nel 1984. .

Henry George affermava che:<<Finchè tutta l’accresciuta ricchezza determinata dal progresso moderno serve solo a favorire l’accumulo di grandi fortune, a far aumentare il lusso e a rendere più forte il contrasto fra i ricchi e i poveri, il progresso non è reale e non può essere permanente>.

Veblen afferma:<<Qualsiasi società ha un sistema di pensiero fondato non su ciò che è reale ma su ciò che è gradevole e conveniente agli interessi dominanti. L’Homo economicus dell’economia classica, che calcola con cura e che massimizza il piacere, è un costrutto artificiale; la motivazione umana è molto diversa. La teoria economica è un esercizio di “adeguatezza cerimoniale” atemporale, tendenzialmente statica e universalmente e continuamente valida, come la religione, ma la vita economica – come tutti ben sanno – è soggetta a una costante evoluzione. Le istituzioni economiche; cambiano; ciò vale o dovrebbe valere anche per la teoria economica; può esserci intesa solo se l’una muta in sintonia con l’altra>>.

Per un po’ di tempo, negli anni Trenta, prosperò comunque negli Stati Uniti un movimento politico vebleniano fondato su queste convinzioni e diretto da Howard Scott. Tale movimento è noto con il nome di Technocracy (Tecnocrazia), un progetto economico e politico che avrebbe dovuto lasciare libero corso alle energie produttive degli ingegneri e di altri tecnici, riducendo l’importanza degli interessi commerciali. Esso, però, non sopravvisse.

Veblen usò a piene mani l’arma del ridicolo nella Theory of the Leisure Class, dove l’espressione “the leisure class” da lui usata è sinonimo di “i ricchi”. Il tono del libro è rigorosamente scientifico, più scientifico di quanto non sia il metodo usato. I ricchi sono un fenomeno antropologico; essi hanno molto in comune con le tribù primitive che Veblen descrive e che, di tanto in tanto, accomoda ai suoi fini, e devono essere studiati nello stesso modo. <<L’istituzione d’una classe agiata è presente nel suo massimo sviluppo negli stadi più avanzati della cultura barbarica>>, e i riti tribali di quest’ultima hanno la loro controparte nei pranzi e in altri ricevimenti nelle grandi case di New York e di Newport. Tanto fra i papua quanto nella Quinta Avenue ci sono esercizi di sfoggio competitivo. <<Trattenimenti costosi, come il balla o il potlach, la distribuzione cerimoniale di doni che alcune popolazioni d’indiani d’America compiono in occasione della festa celebrativa dell’inverno, sono particolarmente adatti allo scopo>>. Il capo tribale, tanto fra i papua quanto a New York, attribuisce grande importanza all’abbellimento delle sue donne. Nel primo caso il seno e il corpo delle donne sono sottoposti a dolorosi tatuaggi e mutilazioni; nel secondo le donne sono sottoposte alla costrizione ugualmente dolora dei busti. La moderna classe agiata si è però un po’ discostata dalle sue forme puramente barbariche:<<Come risultato ultimo di questo sviluppo d’un’istituzione arcaica, la moglie, che all’inizio era, sia in pratica che in teoria, serve e proprietà dell’uomo – la produttrice dei beni che lui consumava -, è diventata la consumatrice cerimoniale de beni che lui produce>>. Su nessuno di questi argomenti Veblen si permette una parola di critica o di deplorazione; il suo unico interesse è la descrizione obiettiva dell’evidente, o addirittura dell’ovvio.

Un esempio superiore del metodo di Veblen è la sua analisi del rapporto fra cane e padrone. E’ un brano che val la pena di citare per esteso:

Il cane presenta dei vantaggi sia sotto il profilo dell’utilità sia per le particolari doti di carattere. Se ne parla spesso, in senso antonomastico, come dell’amico dell’uomo, ed è apprezzato per la sua intelligenza e fedeltà. Il vero significato di tutto questo è che il cane è servo dell’uomo ed è dotato di una cieca sottomissione e di una prontezza da schiavo nell’indovinare l’umore del suo padrone. Accanto a questi aspetti, che lo rendono particolarmente adatto alla relazione di status – e che nel presente contesto vanno considerati aspetti positivi -, il cane ha alcune caratteristiche dal valore estetico più ambiguo. E’ il più sporco degli animali domestici riguardo al corpo e il più abbietto e cattivo riguardo alle abitudini. Per questo ha un atteggiamento strisciante e servile verso il padrone mentre è sempre pronto ad attacare e a far del male e chiunque altro. Il cane gode quindi del nostro  favore perchè ci consente di dare libero sfogo alla nostra inclinazione al comando, e poichè di solito è anche costoso senza avere alcun valore produttivo, si trova a occupare un posto sicuro nella considerazione degli uomini come ogetto onorifico. Al tempo stesso il cane è associato con l’idea della caccia, occupazione meritoria ed espressione dell’onorevole impulso predatorio.

Da Lenin, come già in precedenza da Marx, proveniva anche la nozione che la classe lavoratrice dei paesi industriali non aveva patria. Lo stato era lo strumento – un comitato di amministrazione – della classe capitalistica. I lavoratori non gli dovevano alcuna fedeltà e non erano quindi tenuti ad assolvere la funzione di carne da cannone per i loro oppressori in un’altra guerra. Quando all’orizzonte si profilava la minaccia di un conflitto, questa era un’idea inquietante, almeno per alcuni. Ma fu anche un’idea che si dissolse rapidamente allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914. I socialisti tedeschi, i più evoluti, disciplinati e politicamente influenti in Europa, votarono nel Reichstag a favore dei prestiti di guerra e, assieme ai proletari degli altri paesi industriali, marciarono allegramente verso il massacro. L’impiego internazionalista della classe operaia si rivelò un mito superficiale.

Nel 1913, dopo quasi ottant’anni, era diventato possibile, come abbiamo già indicato, vincere il sospetto populista negli Stati Uniti e fondare una banca centrale, anche se non si poteva ancora ignorare lo spirito di Andrew Jackson.

Tutti i conservatori dovrebbero riflettere sul fatto che la guerra è la cosa a cui un sistema economico ha meno probabilità di sopravvivere.

Thomas Balogh del Balliol College di Oxford fu un forte sostenitore dell’idea che si potesse mettere un freno all’inflazione per mezzo di una politica dei redditi e dei prezzi, anzichè mantenendo inattivi gli impianti e puntando sulla disoccupazione. Sul sistema classico egli fu abbastanza esplicito:<<La storia moderna della teoria economica è un racconto di fughe dalla realtà>>

Mises e Hayek avevano la convinzione dogmatica che ogni allontanamento dall’ortodossia classica fosse un passo irreversibile verso il socialismo. Il socialismo, se si considera la varietà di bisogni umani e la complessità della struttura di capitale e manodopera necessaria per soddisfarli, è un’impossibilità teorica (e pratica). Esso è inoltre intrinsecamente in conflitto con la libertà. Sussidi di disoccupazione, pensioni per la vecchiaia e aiuti ai poveri conducono alla repressione socialista e alla risultante degradazione dello spirito umano. Il sistema capitalistico non sarebbe stato salvato, ma solo distrutto da una tale riforma. E, secondo Mises e Hayek, esso era avviato alla sua distruzione. La perfezione classica non ammetteva alcun compromesso.

L’Austria, nei decenni trascorsi dopo la seconda guerra mondiale, è stata un modello di azione economica efficace: i prezzi sono rimasti relativamente stabili, la moneta forte, l’occupazione piena, la tranquillità sociale grande. Molti di questi risultati sono stati attribuiti a un buon sistema assistenziale, a un equilibrio fra banche pubbliche e private e altre imprese e alla politica sociale di mercato austriaca,  la quale richiede, come difesa contro l’inflazione, un’oculata contrattazione salariale e limitazione dei prezzi, anzichè una dura politica monetaria e fiscale e la disoccupazione. Nulla di tutto questo sarebbe stato purtroppo possibile se le grandi figure dell’economia austriaca degli anni Venti e Trenta fossero rimaste in patria a esercitarvi un’influenza egemonica.

Un carattere singolare e significativo del sistema classico fu l’assenza in esso di una teoria delle depressioni: cosa, peraltro, non sorprendente, in quanto esso ne escludeva per natura le cause pertinenti.[…]Da tutto questo derivava un’altra conseguenza ovvia: poteva non esserci un rimedio per la depressione se la depressione era stata esclusa dalla teoria. I medici, persino quelli di maggiore reputazione, non hanno una cura per una malattia che non può esistere.[…]Dopo il crollo della borsa del 1929, la Grande Depressione si abbattè sull’economia americana, gli economisti nella tradizione classica, ossia quasi tutti gli economisti, si fecero da parte. Era una reazione prevedibile.Due fra le principali figure del tempo, Joseph Schumpeter, ora a Harvard, e Lionel Robbins, della London School of Economics, si premurarono di raccomandare specificamente di non fare nulla.[…]<<la nostra analisi ci conduce a credere che la guarigione sia autentica solo se viene da sè>>

Wesley C. Mitchell che non era condizionato da legami con la teoria classica, concluse che ogni ciclo economico era una serie di eventi unica e aveva una spiegazione unica perchè come egli disse, era il prodotto di una serie di eventi similmente unica.

Nell’aprile del 1936 il Republican National Commitee reclutò un trust di cervelli per l’economia, sul modello introdotto da Roosevelt, il quale era formato, come si conveniva all’orientamento del Partito Repubblicano, da vari fra i più insigni studiosi conservatori – ossia rigorosamente classici – del tempo. Si racconta una storia, che è andata probabilmente arricchendosi nel passare di bocca in bocca, su uno di questi consiglieri, Thomas Nixon Carver di Harvard. Non rendendosi conto che, in conseguenza della sua designazione, le sue parole avrebbero avuto una risonanza particolare, egli parlò pubblicamente dell’opportunità di sterilizzare tutti i poveri degli Stati Uniti, così che essi non potessero procreare, e quindi perpetuare la propria schiatta. Egli definì povero chiunque guadagnasse meno di 1800 dollari all’anno, categoria che abbracciava allora circa metà della popolazione americana. Il trust di cervelli repubblicano fu messo da parte senza far rumore ma fermamente.

La convinzione che i controlli dei prezzi e della produzione in agricoltura siano intrinsecamente sbagliati non si è oggi del tutto dissolta. Ancora all’inizio degli anni Ottanta l’amministrazione Reagan esercitò dapprima nei confronti di tali controlli quella che sarebbe stata rapidamente riconosciuta come un’opposizione retorica, ma ben presto ci fu un rinnovato intervento a costi senza precedenti. I professori Samuelson e Nordhaus nel loro testo respingono questa politica con una breve nota di biasimo:<<Un abituale programma governativo consiste nell’aumentare le entrate degli agricoltori riducendo la produzione agricola[…] Poichè per la maggior parte dei cibi e mangimi la domanda è anelastica, la limitazione della produzione può accrescere le entrate (degli agricoltori). […] A pagare sono, ovviamente, i consumatori. Questa non è una politica che si possa accantonare a cuor leggero. Che neppure i sostenitori del sistema classico siano disposti a tollerarla nella sua forma più pura è un fatto altamente significativo della vita economica moderna. Che essa non sia tollerata in nessuno dei paesi industriali apporta una forte una conferma su questo punto. Essa non è accettata in Giappone, dove i prezzi agricoli sono fortemente protetti; non, certamente, nel Mercato comune europeo, dove i prezzi agricoli ricevono una quota importante di attenzione e di denaro; e non nella Svizzera, ritenuta patria della libera impresa, dove le mucche vivono dell’erba dei pascoli montani e i loro proprietari dei sussidi forniti dal governo. Occorre sottolineare di nuovo questo punto: è un fatto importante nella moderna storia dell’economia che il sistema di mercato classico non sia oggi più tollerato là dove si presenta nella sua forma più pura.

Pigou riteneva che purchè la produzione totale non fosse stata ridotta dagli interventi di ridistribuzione, il benessere economico generale – la somma totale di soddisfazione ricavata dal sistema – fosse senza dubbio migliorato dal trasferimento di risorse spendibili dai ricchi ai poveri. L’utilità marginale del denaro – secondo Pigou – diminuiva al crescere della sua quantità; perciò i poveri traevano più piacere dei ricchi da un aumento delle loro entrate e dei beni così ottenuti.

Nessun atto legislativo nella storia americana fu attaccato più aspramente dai portavoce del mondo imprenditoriale della proposta del Social Security Act. Il National Industrial Conference Board ammonì che <<l’assicurazione contro la disoccupazione non può essere fondata su una base finanziaria legittima>>; la National Association of Manufacturers disse che essa avrebbe facilitato il <<finale controllo socialista della vita e dell’industria>>; Alfred P. Sloan Jr., allora direttore della General Motors, affermò recisamente: <<i pericoli sono manifesti>>; James L. Donnely, della Manufacturers’ Association dell’Illinois, disse che la proposta di legge sulla previdenza sociale era un disegno per minare la vita nazionale <<distruggendo l’iniziativa, scoraggiando il risparmio e soffocando la responsabilità individuale>>; Charles Denby Jr., dell’American Bar Association, disse che <<prima o poi essa determinerà l’inevitabile abbandono del capitalismo privato>>; e George P. Chandler, della Camera di commercio dell’Ohio, ammonì piuttosto sorprendentemente che il declino di Roma poteva essere ricondotto a un’azione del genere. In una parafrasi generale di tutte le loro posizione, Arthur M. Schlesinger Jr. scrisse:<< Con l’assicurazione contro la disoccupazione, nessuno avrebbe lavorato; con l’assicurazione di vecchiaia e di riversibilità nessuno avrebbe risparmiato; ne sarebbe risultato un declino morale, una bancarotta finanziaria e il collasso dello Stato>>. Il deputato John Taber, dello stato di New York, parlò al Congresso a nome dell’opposizione economica:<<Mai, nella storia del mondo, è stata introdotta alcuna misura così insidiosamente progettata per impedire il risanamento dell’economia, per asserivre i lavoratori e per togliere agli imprenditori ogni possibilità di fornire lavoro alla gente>>. Un suo collega, il deputato Daniel Reed, fu più succinto:<<Si sentirà la sferza del dittatore>>. L’opposizione repubblicana votò quasi unanimemente per il rinvio, ossia per la bocciatura, del progetto di legge, ma quando esso arrivò all’emiciclo prevalsero altre considerazioni del momento. Il progetto fu approvato a larghissima maggioranza, con 371 contro 33.

Galbraith finisce dicendo che “La previdenza sociale è oggetto sia di vituperio sia di amore, ma l’amore trionfa” <— morreich.

Ci furono Keynesiani già molto tempo prima di Keynes. Uno di essi fu Adolf Hitler, che nell’assumere il cancellierato nel 1933, senza lasciarsi impacciare da alcuna teoria economica, varò una grande programma di opere pubbliche, di cui l’esempio più vistoso furono le Autobahnen (autostrade). Le spese per opere pubbliche furono seguite solo molto tempo dopo dalle spese per gli armamenti. I nazisti non si lasciarono condizionare nemmeno dalla limitazione delle entrate fiscali: il finanziamento in disavanzo era dato per scontato. L’economia tedesca uscì dalla depressione distruttiva di cui aveva sofferto in precedenza. Nel 1936 la disoccupazione, che aveva avuto un’influenza grandissima nel portare Hitler al potere, era stata sostanzialmente eliminata. Il mondo economico non si lasciò impressionare; Hitler e i nazionalsocialisti non erano un modello da imitare. Visitando il Reich in quegli anni, diversi economisti e le voci più autorevoli della scienza finanziaria ne previdero quasi unanimemente il disastro economico. In conseguenza di indirizzi economici sconsiderati, se non folli, l’economia tedesca era secondo loro destinata a crollare; il nazionalsocialismo sarebbe stato screditato e sarebbe scomparso. Heinrich Bruning, il cancelliere inflessibilmente ortodosso che aveva governato nel precedente periodo di disoccupazione e di miseria, entrò a far parte del personale docente di Harvard, dove non perse occasione di parlare, a ogni pubblico disponibile, delle gravi conseguenze che sarebbero seguite all’abbandono, da parte della Germania, dei suoi indirizzi rigorosamente austeri, indirizzi che negò recisamente avessero avuto qualche influenza sulla disperazione che aveva condotto all’ascesa del nazismo.

Essi (gli economisti di Stoccolma) ritenevano invece che nei tempi di prosperità il bilancio dello Stato dovesse essere in equilibrio, mentre in periodi di depressione lo si squilibrare deliberatamente, così che l’eccesso delle spese sulle entrate sostenesse la domande e l’occupazione. Negli anni trenta, a Stoccolma, con molto anticipo rispetto a Keynes, si diceva e si faceva tutto questo; in un mondo che badasse alla precisione terminologica si dovrebbe parlare non di Rivoluzione keynesiana bensì di Rivoluzione svedese.

Dopo essersi laureato a Cambridge nel 1905, si presentò agli esami  per entrare nell’amministrazione dello Stato, ma fece male in economia:<<Evidentemente conoscevo sull’economia più dei miei esaminatori>>. Sopravvissuto a questa ignoranza dei funzionari statali, scrisse un libro molto tecnico che ebbe buone accoglienze sulla teoria della probabilità, ne cominciò un altr sulla moneta indiana e tornò a Cambridge con una borsa di studio assegnatagli  personalmente dal professor Arthur Pigou.

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Sicurezza e Anonimato – Proviamo a discuterne

Posted by Masamune su febbraio 4, 2012

La regola d’oro della sicurezza e dell’anonimato è che per quanto tu possa essere bravo ed attento non avrai mai la certezza di essere protetto da tutti i tipi di attacchi e/o di non lasciare tracce delle tue scorribande su internet. Suona quindi come un no-brainer dopo aver preso tutte le protezioni del caso, continuare a stare MANZI.

Sicurezza

Ma Partiamo dalle basi: Quale sistema è più sicuro contro virus e malware? La risposta ovvia sembrerebbe essere “Linux” ma in realtà non è proprio così, come si può evincere da qui i vari sistemi operativi sono tutti egualmente bucabili, quindi ciò che fa la differenza è la diffusione, ed essendo windows il più diffuso è evidente che sarà quello più attaccato. Si può dire dunque che se siamo su windows dovremo difenderci da moltissimi attacchi (ma lo sappiamo, no?) mentre su linux e os x potremo stare relativamente tranquilli, ma questo può generare un falso senso di sicurezza che alla fine potrebbe rivelarsi fatale. Approfitto di questo ottimo thread su HWU:  per partire a fare alcune considerazioni, seguite il link per approfondimenti.

  1. E’ fondamentale scaricare ASAP gli aggiornamenti di windows update perchè tappano le varie falle che sono presenti nel codice. Se per qualsiasi motivo non lo fate (ad esempio perchè non avete windows originale) bè sappiate che è come andare in guerra contro gli zerg in mutande.
  2. Secunia da questo sito potete fare uno scan per controllare di avere l’ultima versione disponibile installata di tutti i programmi più diffusi (e che sono per questo motivo i più attaccati) .
  3. Per vedere se avete l’ultima versione di flash player installata: https://www.adobe.com/software/flash/about/
  4. Installate un buon antivirus. E qua più di tanto non posso dire, la diatriba se valga la pena di prendere un antivirus a pagamento, è infinita. Quali sono i migliori antivirus free? a voi l’ardua senteza. Per quello che mi riguarda installate Avira e dategli una configurazione strong.
  5. Firewall: se sapete bene cosa fare usate Comodo se no andate su Private Firewall senza pensarci 2 volte.
  6. Antispyware: Malwarebytes + SuperAntispyware e PREGATE perchè a quanto pare non basta un singolo programma e non si è mai sufficientemente protetti..qua le guide: Malwarebytes, SuperAntispyware.
  7. Usate PeerBlock (prima noto come PeerGuardian) per bloccare indirizzi ip malevoli/potenzialmente intrusivi AD AREA, no veramente blocca un sacco di roba e forse lo troverete troppo overkill…
  8. Usate una sandbox come sandboxie qua la guida.
  9. Tenetevi aggiornati sulle NEWS inerenti la sicurezza.
  10. Non usate Adobe Reader! Usate un altro programma per leggere i pdf tipo pdf-xchange-viewer, Adobe è pieno di buchi e magari vi prendete qualcosa mentre aprite un pdf online seguendo un link di un sito.
  11. Se siete molto paranoici e non vi accontentate dello scan del vostro antivirus qua trovate vari link a siti che fanno scansioni e una ben più utile lista di siti a cui è possibile mandare singoli file per farli esaminare da 40+ antivirus contemporaneamente, siti come VirusTotal per capirci.
  12. Hijack this: TutorialAnalisi Log.
  13. Ci sarebbe poi la questione rootkit…ma al momento non ne capisco molto. L’unica cosa che so è che sono i più cattivi e bastardi. Si posizionano in parti di difficile accesso dell’hd, sono invisibili, sono cryptati, sono polimorfici (nel senso che l’algoritmo di cryptazione viene costantemente cambiato), sono aggiornati ogni giorno per combattere contro le innovazioni dei produttori di antivirus che cercano di stargli dietro…insomma sono un incubo.

Ma veniamo all’anonimato:

  1. Incominciamo col dire che c’è un trade off tra i vantaggi che internet può dare e la ricerca dell’anonimato, una cosa così insomma: <Anonimato ———-|———- Vantaggi> spostate la barra centrale a vostro piacimento. Più utilizzate i servizi che offre internet (soprattutto tutte le cose “2.0”) e più volenti o nolenti lascerete in giro migliaia di tracce. La scelta sta a voi.
  2. Si può dunque ampliare il discorso e dire: tenetevi per voi i vostri cazzo di dati privati! Producete il minor numero di contenuti che vi riguardano: no info personali (nome, cognome, data di nascita sono già di per se sufficienti a dare informazioni molto utili a chi vuole clonare carte di credito), no foto!!!, no posizioni politiche, orientamenti sessuali etc etc, fidatevi o prima o poi ve ne pentirete. E ricordatevi che mettere una cosa su internet è facile, togliera è tutta un altra storia, basta pensare ai casi di “forza chiara” o del video porno di belen: se non sono riusciti a togliere definitivamente cose così grosse che scendevano nel penale (video di sesso con minori…) figuratevi cosa si potrà fare con altre cose magari molto meno pesanti…
  3. Limitate al minimo indispensabile le iscrizioni a siti che richiedono l’inserimento veritiero di dati sensibili, sia per ridurre il numero di enti che possiedono tali dati sia perchè può sempre accadere che qualcuno hacki quel particolare sito ed entri in possesso delle vostre informazioni sensibili.
  4. Utilizzate username diversi per siti diversi!: se utilizzate il nick SuperMario55 sia sul sito della bocciofila a cui siete iscritti sia su adultgayfriendfinder capite che avete un problema. Ancora senza ricorrere a questi esempi estremi se avete un nick unico o poco usato con un semplice search su google del vostre username altri internauti possono scoprire vita morte e miracoli di voi.
  5. Avete avuto la pessima idea di iscrivervi su facebook(http://arstechnica.com/business/news/2012/02/nearly-3-years-later-deleted-facebook-photos-are-still-online.ars)/twitter/myspace e ora questi siti grondano di vostre informazioni che vengono rivendute a terzi a vostra insaputa, vengono utilizzate per fare profiling e vendervi un sacco di cazzate, vengono rubate da apps di terze parti a causa di falle nel codice grosse come grattacieli e tra un po’ saranno liberamente accessibili dall’FBI? Bene è giunto il momento di quittare tutta quella merda. Potete farlo manualmente, potete usare una macro, oppure potete affidarvi a web 2.o suicide machine (non ho mai utilizzato il programma quindi non assicuro che funzioni o che non rubi tutti i vostri dati etc, siate sgamati…)
  6. Non usate google! Usate DuckDuckGo o IxQuick Perchè? Bè leggete qua: http://donttrack.us/
  7. Il vostro ip corrisponde al luogo dove vivete? http://www.whatsmyip.org/more-info-about-you/ avete sbagliato qualcosa con i proxy servers 😀
  8. Scaricate torrents da tracker pubblici e credete che sia sicuro/nessuno vi possa scoprire? Forse questo sito vi farà cambiare idea…
  9. Mozilla ha una funziona di “Geolocation”, eliminatela: nella barra degli indirizzi digitate “about:config” trovate la voce “geo.enabled” e disattivatela.
  10. Usate Tor per navigare in rete con il massimo livello di anonimato, ociò che ci sono tutte un tot di comportamenti da tenere per far funzionare veramente la cosa! Esiste anche i2p2.
  11. Valutate l’opzione di utilizzare un servizio professionale di proxy come BtGuard, chiaramente costa, ma la qualità si paga.
  12. Per finire scollegate sempre la vostra webcam o copritela con un post-it se l’avete integrata (come nei portatili) perchè non si sa mai: Quando la Webcam ti spia.
  13. MANCA TUTTA LA PARTE SUI COOKIES

Argomento passwords:

  1. Quanto è sicura la mia password? Qua avrete la vostra risposta (siate furbi non mettete proprio la vostra password, non si sa mai^^). Al momento il sito usa come termine di paragone un bruteforce da 250 milioni di tentativi al secondo (numero a cui si può giungere tramite hash tables e una GPU abbastanza potente). Attenzione a non fare passwords composte da parole (soprattutto inglesi) perchè se vi fanno un dictionary attack siete fregati anche se la vostra password è sufficientemente lunga da poter essere sicura dal punto di vista degli anni necessari per essere crackata da un bruteforce.
  2. Installate e usate LastPass: grazie a questo programma potrete evitare di ricordarvi 100 combinazioni diverse di user/pw e avrete una sicurezza SUPERIORE rispetto a far gestire la cosa dai vostri browser che sono molto più bucabili/attaccabili. Oltre a questi innegabili vantaggi c’è anche quello che potrete usare password veramente potenti e diverse tra loro su ogni sito (avere pw diverse è fondamentale perchè se un sito viene compromesso la vostra pw potrebbe essere rubata e utilizzata su altri siti su cui siete iscritti, ma se avete pw diverse siete in una botte di ferro).
  3. Security Exploded: sito uber-creepy che contiene un sacco di programmini per hackarvi le vostre proprie passwords, giusto per farvi capire quanto siete vulnerabili…lol, troverete cose tipo il Facebook Password Decryptor
  4. Attenzione alle passwords di default presenti sui vostri vari accessori  tecnologici: http://defaultpassword.com/
  5. Password più comunemente usate: http://xato.net/passwords/more-top-worst-passwords, se siete ancora convinti di essere degli individui con una testa pensante unica, che siate un unico bellissimo fiocco di neve  bè…questi dati dovrebbero almeno instillarvi qualche dubbio:
  • 4.7% of users have the password password;
  • 8.5% have the passwords password or 123456;
  • 9.8% have the passwords password, 123456 or 12345678;
  • 14% have a password from the top 10 passwords
  • 40% have a password from the top 100 passwords
  • 79% have a password from the top 500 passwords
  • 91% have a password from the top 1000 passwords
Quindi con un dizionario di 1000 password scopate gratis il 91% degli utenti…
“You are not a beautiful or unique snowflake. You’re the same decaying organic matter as everything else. “
“If you ask someone to name a vegetable, 98 percent of the time, that person will tell you a carrot.Tell someone to pick an even number between 50 and 100, where both digits are different, most commonly people will pick the number 68.Think of a card.The most common choices predictably are nine of diamonds, ace of spades, queen of hearts, or the six of clubs.” EVEN THE WAY PEOPLE MISSPELL WORDS IS CONSISTENT.

Un framework per creare passwords sufficientemente sicure:

  1. Questo framework è valido se utilizzate LastPass (anche perchè c’è un trade-off tra non prevedibilità di una password e sua facilità di memorizzazione che grazie a questi programmi ci interessa relativamente) e se potete salvare le vostre password dentro un txt cryptato come Maxa. Buona practice è quella di tenere il txt cryptato in una chiavetta usb esterna al pc.
  2. Usate password diverse per ogni sito/sistema (ecco un buon motivo per usare LastPass)
  3. Non salvate le pws nei browsers! Sono molto vulnerabili se salvate li dentro!
  4. La tua password deve avere più di 15 caratteri per essere resistente ad attacchi offline tramite RainbowTables. Create password LUNGHE.
  5. Attenzione ai dictionary attacks: se la tua password è lunga ma formata da parole (soprattutto se inglesi) essa risulterà molto meno resistente di quello che potrebbe sembrare. Se proprio volete usare parole di senso compiuto usate parole italiane o ancora meglio dialettali, se proprio volete andare in overkill mixate inglese italiano dialetto.
  6. La casualità è l’assenza di ordine, è evidente dunque che il linguaggio umano non è casuale e di conseguenza nemmeno le password create dal linguaggio umano sono casuali.
  7. Dato che il 75% di tutte le pws usa lettere minuscole e che il 60% di tutte le pws è fatto esclusivamente di lettere minuscole vi consiglio di usare differenti tipi di character set, ce ne sono 5: lettere minuscole, lettere maiuscole, numeri (pochi non oltre il 10% della lunghezza della pw dato che ci sono solo 10 cifre), simboli presenti sulla tastiera (inclusa la punteggiatura), simboli non presenti sulla tastiera (65,535 caratteri/simboli diversi provenienti da varie lingue, l’unicode insomma^.^)
  8. Solo il 3% delle pws usa lettere maiuscole, quindi usatele! Ma non all’inizio della pw tipo Ariannasoramia!, perchè è troppo prevedibile e questa informazione viene implementata nei programmi che crackano le pws in modo intelligente (non bruteforce).
  9. Il numero 1 è più usato degli altri e il pattern più usato è passwordebole12, evitate ^.^.
  10. Usate gli spazi!
  11. Usate ripetizioni per allungare la vostra pw.
  12. Inserite la vostra password tra 2 simboli, tipo (pw)
  13. Attenzione alle domande segrete per recuperare la vostra pw, è abusabilissimo, io di solito metto come domanda segreta “giao scemiii” e come risposta 200 lettere a caso.
Facciamo un esempio, partiamo da una parola semplice, sedia, e trasformiamola in una password invincibile. Sedia –> diase –> diase-diase –> diase-DIASE –> (diase-DIASE) –> (9diase-DIASE9) –> (9diase – DIASE9). Nell’ultimo passaggio ho aggiunto 2 spazi, vediamo cosa dice How Secure Is My PasswordIt would take a desktop PC About 633 quadrillion years to hack your password. Non male. Aggiungiamo un altra ripetizione (9diasediase – DIASE9), It would take a desktop PC About 5 octillion years to hack your password. Ancora potete usare anche questo programma: http://rumkin.com/tools/password/passchk.php
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