SNC's road to hell

No more child's play

Posts Tagged ‘darwinismo sociale’

John Kenneth Galbraith – Storia della Economia (parte 1)

Posted by Masamune su febbraio 6, 2012

Economics in Perspective: A Critical History

Aristotele su schiavi e donne: “Dunque, è evidente che taluni sono per natura liberi, altri schiavi, e che per costoro è giusto essere schiavi […] quanto all’utilità, la differenza [fra gli schiavi e gli animali domestici] è minima: entrambi prestano aiuto con le forze fisiche per le necessità della vita” .

“Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo” .

La Legge di Gresham afferma che la moneta buona scaccia quella cattiva. Se io possiedo pesos messicani e franchi svizzeri userò i primi per compiere acquisti e terrò i secondi come riserva di valore. Sounds fair.

In Wealth of Nations, che si fonda in modo rigoroso sugli indirizzi del periodo mercantilistico, Adam Smith non lasciò fuori dalle sue critiche le società per azioni. I dirigenti di aziende e i loro portavoce che oggi citano Smith come fonte di ogni verità senza essersi dati la pena di leggerlo sarebbero stupiti e depressi nel sapere che egli non avrebbe permesso l’esistenza delle loro società.

Negli anni Trenta del nostro secolo, un giovane economista di Harvard, Wassily Leontief (nato nel 1906), tentò di sviluppare tavole che mostrassero che cosa ciascuna industria riceveva da – e vendeva a – tutte le altre, e per questa via il flusso del reddito attraverso il sistema e i suoi effetti. E si parlò, talvolta in tono lievemente irridente, del Tableau Economique di Leontief. Soltanto con grande difficoltà Leontief riuscì a mettere insieme il denaro necessario per la gigantesca compilazione statistica indispensabile al suo progetto; ma quando, nel 1973, ricevette per il suo lavoro il Premio Nobel per l’economia, gli atteggiamenti divennero più rispettosi. Chiamata <<analisi input-output>> o, più elegantemente, <<analisi intersettoriale>>, l’invenzione di Leontief era ormai diventata il pilastro principale di quei moderni modelli (che godono di un considerevole e remunerativo successo) il cui obiettivo consiste nel predire (non di rado sbagliando) il futuro dell’economia e l’effetto delle variazioni nei prezzi, nei salari, nei tassi d’interesse, nelle imposte e nella domanda quale si manifesta nelle singole industrie. Di nuovo, è qui visibile l’influenza lontana di Quesnay, della Francia e di Versailles.

Ci sono alcune lezioni economiche che non si imparano mai. Una è quella che è indispensabile la più profonda diffidenza verso l’innovazione nelle materie che interessano la moneta e, più in generale, il campo della finanza. Continua, infatti, a persistere l’idea che debba esistere una qualche maniera, rimasta fino ad ora sconosciuta, di risolvere grandi problemi sociali senza sacrifici; ma la verità pura e semplice è invece che non esiste. Gli ingegnosi progetti monetari e finanziari si rivelano infallibilmente – non si conoscono eccezioni alla regola – inefficaci, quando non si tratta di frodi ai danni del pubblico che non di rado si ritorcono sugli stessi che li hanno concepiti e attuati. Proudhon non fu il primo a riporre la sua fiducia nella magia monetaria, ma fu una delle prime voci in una tradizione che ancora sopravvive.

Wealth of Nations è un trattato enorme, disordinato, ricco di cose divertenti e scritto in una prosa ammirevole, Con la Bibbia e il Capitale di Marx, è uno dei tre libri che le cosiddette persone “colte” si sentono autorizzate a citare senza averli letti.

  • Sugli americani: <<la recente decisione dei quaccheri della Pennsylvania di liberare tutti gli schiavi negri ci dimostra che il loro numero non può essere molto grande>>
  • <<per la maggior parte dei ricchi il principale godimento delle loro ricchezze consiste nel farne mostra>>
  • Sui detentori dei titoli azionari: <<…ma la maggior parte di questi proprietari raramente pretende di capire qualcosa degli affari della società, e quando non prevale tra di loro lo spirito di fazione, essi non se ne curano, ma sono soddisfatti di ricevere quel dividendo semestrale o annuale che gli amministratori ritengano opportuno dare loro>
  • <<Il cantone svizzero di Unterwalden è colpito frequentemente da frane e inondazioni, ed è quindi soggetto a spese straordinarie. In queste occasioni la gente si raduna e si dice che oguno dichiari con la massima franchezza quanto possiede per essere tassato  in conformità.>>

In un altra pagina immortale (Smith) osserva che: <<la gente dello stesso mestiere raramente s’incontra, anche solo per divertimento e diporto, senza che la conversazione finisca in una cospirazione contro il pubblico o in qualche escogitazione per aumentare i prezzi>> .

Rispetto a Smith – o a Malthus Ricardo rappresenta un drastico cambiamento di metodo. Smith era empirico e induttivo; egli procedeva dalle sue diverse e ricchissime osservazioni personali alle sue conclusioni. Ricardo è teoretico e deduttivo. Muovendo da una proposizione evidente (o presunta tale), egli procede mediante un ragionamento astratto verso la conclusione plausibile o, forse, inevitabile. E’ un metodo che in futuro eserciterà una grande attrazione sugli economisti, perchè riduce gli sforzi del raccogliere informazioni e, se necessario, può essere scisso dalla sgradevole o scomoda realtà. Esso servì eccellentemente Ricardo. Il suo metodo e i suoi risultati condurranno in seguito i difensori del capitalismo e i suoi accaniti avversari,  e soprattutto Marx, a conclusioni tutte egualmente sicure e decise.

Secondo Ricardo un’iniezione di capitale e di tecnologia, con il conseguente effetto al rialzo sul prezzo di mercato del lavoro, potrebbero –  pensava Ricardo – continuare indefinitivamente. Il che va in contrasto con la sua Legge Bronzea dei Salari.

Secondo Ricardo la miseria è ineluttabile; la legge economica che la impone non può esser trasgredita. Questo è il capitalismo; così Ricardo ne distrusse la reputazione. Senza alcun dubbio, un difensore e un amico può recare molto danno.

Se i profitti rispecchiano la remunerazione del lavoro impiegato in passato nella formazione del capitale, allora qualsiasi reddito intascato dal capitalista è una grossolana forma di furto. Egli non vi ha nessun diritto: non fa che appropriarsi di quel che a rigore appartiene all’operaio. O comunque non sarebbe difficile presentare le cose in questo modo. E così le presentò, con imponenti conseguenze storiche, Karl Marx. L’argomento ricardiano – sorretto dalla Legge bronzea e dalla teoria del valore fondato sul lavoro – che il capitalista, per intascare la sua remunerazione, usurpa ciò che spetterebbe all’operaio avrebbe prodotto rivoluzioni.

<<Se Marx e Lenin meritano un busto (nella galleria degli eroi rivoluzionari) da qualche parte, in seconda fila, dovrebbe esserci posto per un effige di Ricardo>>

Adam Smith aveva osservato – lo si ricorderà –  che mentre non esistevano leggi contro associazioni create da mercanti o datori di lavoro per affermare la loro forza collettiva, nessuna tolleranza del genere proteggeva le associazioni operaie. John Stuart Mill richiamò vigorosamente l’attenzione sulla relativa impotenza degli operai. Ma in generale la tradizione classica si mostrava reticente sul tema del potere – e cioè sul fatto che nel sistema economico c’era chi era in grado di imporre o altrimenti ottenere l’obbedienza degli altri, e godeva le gratificazioni, il prestigio e il profitto che si accompagnavano a questa situazione. E’ una reticenza che persiste ancora oggi. Il perseguimento del potere e delle sue ricompense pecuniarie e psicologiche rimane – oggi come allora – il grande buco nero della scienza economica ortodossa. 

Il pensiero socialista contemporaneo e le idee di Harriet Taylor, nata Harriet Hardy, che nel 1851 divenne sua moglie (di John Stuart Mill)  e lo convertì all’idea, straordinaria per quell’epoca, che dovesse accordare alle donne il diritto di voto.

Sempre Mill scriveva: “Se dunque la scelta si dovesse fare tra il comunismo con tutte le sue possibilità ancora da esplicare, e lo stato presente della società con, tutte le sue sofferenze e le sue ingiustizie; se l’istituto della proprietà privata dovesse portare con sè, come conseguenza necessaria, che il prodotto del lavoro fosse distribuito come noi vediamo che avviene attualmente, cioè praticamente in proporzione inversa al lavoro – le quote maggiori a favore di quelli che non hanno mai lavorato del tutto, quelle appena un po’ più piccole a coloro il cui lavoro è puramente nominale, e così avanti in progressione discendente, con la remunerazione che diminuisce sempre di più via via che il lavoro diventa più gravoso e sgradevole, finchè il lavoro più massacrante e distruttivo non dà la sicurezza di poter guadagnare neppure il necessario per sopravvivere; se l’alternativa fosse tra questo e il comunismo, allora tutte le difficoltà, grandi o piccole, del comunismo, peserebbero sulla bilancia come polvere.

Fu Herbert Spencer, non Darwin, a regalare al mondo l’immortale espresione <<la sopravvivenza del più adatto>>.

Anche la carità aiutava l’inetto a vivere e contribuiva alla sua antisociale sopravvivenza; ma Spencer finì con l’accettarla. L’effetto della carità sul progresso sociale era incontestabilmente negativo, ma proibirla era d’altra parte una violazione inaccettabile della libertà dell’aspirante donatore.

Uno dei suoi più ardenti sostenitori (del darwinismo sociale) arrivò a proclamare che i <<milionari sono un prodotto della selezione naturale, i rappresentanti naturalmente selezionati della società per certe funzioni. Essi hanno alti compensi e vivono nel lusso, ma per la società si tratta di un buon affare>>. Come ho già avuto modo di osservare, per i figli dei ricchi fu davvero un bel regalo vedersi offrire idee del genere.

Karl Marx fu anche giornalista e durante il periodo del suo soggiorno londinese, finanziariamente difficile, si mantenne scrivendo per la <<New York Tribune>>, progenitrice della successiva <<New York Herald Tribune>> e portavoce di un rigido repubblicanesimo: fatto, questo, di cui tutti gli zelanti membri dell’attuale Partito Repubblicano statunitense dovrebbero essere profondamente consapevoli.  (la serpe in seno aggiungo io, lol)

<<Le idee dominanti di un’epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante>>, in tema di potere due proposizioni di Marx sopravvivono a questo clima ostile (il clima che vuole il Marxista come un essere infame): che i governi moderni servono gli interessi del potere delle imprese o degli affari; e che il pensiero economico ortodosso o correntemente accettato è in armonia con l’interesse economico dominante. Di queste due proposizioni si nutre il commento politico quotidiano. Su tali questioni molta gente, senza rendersene conto, parla con la voce di Marx.

Il Manifesto del Partito comunista invocò assieme a molte altre cose, un’imposta progressiva sul reddito, la proprietà pubblica delle ferrovie e delle comunicazione, l’istruzione gratuita, l’abolizione del lavoro infantinle e un’occupazione per tutti. Negli Stati Uniti del XX secolo , i riformatori di orientamente liberal sono largamente, cordialmente in sintonia con il Manifesto del Partito comunista. 

Le banconote <<continentali>> che, fungendo da sostituto della tassazione (o forse bisognerebbe dire di un sistema fiscale), finanziarono la Rivoluzione americana, suscitarono un’analoga censura. A essa risale un’espressione che ha trovato stabile cittadinanza nella lingua americana e che esprime una secca, totale condanna: <<Non vale un Continental>>.

In un miscuglio tipicamente americano di economia, sociologia e teologia, Beecher gettò un ponte sull’abisso che sembrava dividere irrimediabilmente Darwin, Spencer e l’evoluzionismo da un lato e l’ortodosso racconto biblico delle origini dell’uomo dall’altro. Egli riuscì a conseguire questo obiettivo proponendo una distinzione tra teologia e religione: la prima sarebbe per sua natura soggetta a evolversi, mentre la seconda – ovvero la Parola di Dio nel Genesi – è immutabile. Benchè si tratti di qualcosa che nessuno dopo di allora ha preteso di capire, questa distinzione aprì le porte delle chiese americane a Darwin, e di conseguenza a Spencer. E su un punto vitale Beecher fu perfettamente chiaro: Spencer, secondo lui, non faceva che dare espressione al volere divino: <<Dio ha inteso che i grandi siano grandi e i piccoli siano piccoli>>.

Wealth Against Commonwealth (titolo stupendo), di Henry Demarest Lloyd, edito nel 1984. .

Henry George affermava che:<<Finchè tutta l’accresciuta ricchezza determinata dal progresso moderno serve solo a favorire l’accumulo di grandi fortune, a far aumentare il lusso e a rendere più forte il contrasto fra i ricchi e i poveri, il progresso non è reale e non può essere permanente>.

Veblen afferma:<<Qualsiasi società ha un sistema di pensiero fondato non su ciò che è reale ma su ciò che è gradevole e conveniente agli interessi dominanti. L’Homo economicus dell’economia classica, che calcola con cura e che massimizza il piacere, è un costrutto artificiale; la motivazione umana è molto diversa. La teoria economica è un esercizio di “adeguatezza cerimoniale” atemporale, tendenzialmente statica e universalmente e continuamente valida, come la religione, ma la vita economica – come tutti ben sanno – è soggetta a una costante evoluzione. Le istituzioni economiche; cambiano; ciò vale o dovrebbe valere anche per la teoria economica; può esserci intesa solo se l’una muta in sintonia con l’altra>>.

Per un po’ di tempo, negli anni Trenta, prosperò comunque negli Stati Uniti un movimento politico vebleniano fondato su queste convinzioni e diretto da Howard Scott. Tale movimento è noto con il nome di Technocracy (Tecnocrazia), un progetto economico e politico che avrebbe dovuto lasciare libero corso alle energie produttive degli ingegneri e di altri tecnici, riducendo l’importanza degli interessi commerciali. Esso, però, non sopravvisse.

Veblen usò a piene mani l’arma del ridicolo nella Theory of the Leisure Class, dove l’espressione “the leisure class” da lui usata è sinonimo di “i ricchi”. Il tono del libro è rigorosamente scientifico, più scientifico di quanto non sia il metodo usato. I ricchi sono un fenomeno antropologico; essi hanno molto in comune con le tribù primitive che Veblen descrive e che, di tanto in tanto, accomoda ai suoi fini, e devono essere studiati nello stesso modo. <<L’istituzione d’una classe agiata è presente nel suo massimo sviluppo negli stadi più avanzati della cultura barbarica>>, e i riti tribali di quest’ultima hanno la loro controparte nei pranzi e in altri ricevimenti nelle grandi case di New York e di Newport. Tanto fra i papua quanto nella Quinta Avenue ci sono esercizi di sfoggio competitivo. <<Trattenimenti costosi, come il balla o il potlach, la distribuzione cerimoniale di doni che alcune popolazioni d’indiani d’America compiono in occasione della festa celebrativa dell’inverno, sono particolarmente adatti allo scopo>>. Il capo tribale, tanto fra i papua quanto a New York, attribuisce grande importanza all’abbellimento delle sue donne. Nel primo caso il seno e il corpo delle donne sono sottoposti a dolorosi tatuaggi e mutilazioni; nel secondo le donne sono sottoposte alla costrizione ugualmente dolora dei busti. La moderna classe agiata si è però un po’ discostata dalle sue forme puramente barbariche:<<Come risultato ultimo di questo sviluppo d’un’istituzione arcaica, la moglie, che all’inizio era, sia in pratica che in teoria, serve e proprietà dell’uomo – la produttrice dei beni che lui consumava -, è diventata la consumatrice cerimoniale de beni che lui produce>>. Su nessuno di questi argomenti Veblen si permette una parola di critica o di deplorazione; il suo unico interesse è la descrizione obiettiva dell’evidente, o addirittura dell’ovvio.

Un esempio superiore del metodo di Veblen è la sua analisi del rapporto fra cane e padrone. E’ un brano che val la pena di citare per esteso:

Il cane presenta dei vantaggi sia sotto il profilo dell’utilità sia per le particolari doti di carattere. Se ne parla spesso, in senso antonomastico, come dell’amico dell’uomo, ed è apprezzato per la sua intelligenza e fedeltà. Il vero significato di tutto questo è che il cane è servo dell’uomo ed è dotato di una cieca sottomissione e di una prontezza da schiavo nell’indovinare l’umore del suo padrone. Accanto a questi aspetti, che lo rendono particolarmente adatto alla relazione di status – e che nel presente contesto vanno considerati aspetti positivi -, il cane ha alcune caratteristiche dal valore estetico più ambiguo. E’ il più sporco degli animali domestici riguardo al corpo e il più abbietto e cattivo riguardo alle abitudini. Per questo ha un atteggiamento strisciante e servile verso il padrone mentre è sempre pronto ad attacare e a far del male e chiunque altro. Il cane gode quindi del nostro  favore perchè ci consente di dare libero sfogo alla nostra inclinazione al comando, e poichè di solito è anche costoso senza avere alcun valore produttivo, si trova a occupare un posto sicuro nella considerazione degli uomini come ogetto onorifico. Al tempo stesso il cane è associato con l’idea della caccia, occupazione meritoria ed espressione dell’onorevole impulso predatorio.

Da Lenin, come già in precedenza da Marx, proveniva anche la nozione che la classe lavoratrice dei paesi industriali non aveva patria. Lo stato era lo strumento – un comitato di amministrazione – della classe capitalistica. I lavoratori non gli dovevano alcuna fedeltà e non erano quindi tenuti ad assolvere la funzione di carne da cannone per i loro oppressori in un’altra guerra. Quando all’orizzonte si profilava la minaccia di un conflitto, questa era un’idea inquietante, almeno per alcuni. Ma fu anche un’idea che si dissolse rapidamente allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914. I socialisti tedeschi, i più evoluti, disciplinati e politicamente influenti in Europa, votarono nel Reichstag a favore dei prestiti di guerra e, assieme ai proletari degli altri paesi industriali, marciarono allegramente verso il massacro. L’impiego internazionalista della classe operaia si rivelò un mito superficiale.

Nel 1913, dopo quasi ottant’anni, era diventato possibile, come abbiamo già indicato, vincere il sospetto populista negli Stati Uniti e fondare una banca centrale, anche se non si poteva ancora ignorare lo spirito di Andrew Jackson.

Tutti i conservatori dovrebbero riflettere sul fatto che la guerra è la cosa a cui un sistema economico ha meno probabilità di sopravvivere.

Thomas Balogh del Balliol College di Oxford fu un forte sostenitore dell’idea che si potesse mettere un freno all’inflazione per mezzo di una politica dei redditi e dei prezzi, anzichè mantenendo inattivi gli impianti e puntando sulla disoccupazione. Sul sistema classico egli fu abbastanza esplicito:<<La storia moderna della teoria economica è un racconto di fughe dalla realtà>>

Mises e Hayek avevano la convinzione dogmatica che ogni allontanamento dall’ortodossia classica fosse un passo irreversibile verso il socialismo. Il socialismo, se si considera la varietà di bisogni umani e la complessità della struttura di capitale e manodopera necessaria per soddisfarli, è un’impossibilità teorica (e pratica). Esso è inoltre intrinsecamente in conflitto con la libertà. Sussidi di disoccupazione, pensioni per la vecchiaia e aiuti ai poveri conducono alla repressione socialista e alla risultante degradazione dello spirito umano. Il sistema capitalistico non sarebbe stato salvato, ma solo distrutto da una tale riforma. E, secondo Mises e Hayek, esso era avviato alla sua distruzione. La perfezione classica non ammetteva alcun compromesso.

L’Austria, nei decenni trascorsi dopo la seconda guerra mondiale, è stata un modello di azione economica efficace: i prezzi sono rimasti relativamente stabili, la moneta forte, l’occupazione piena, la tranquillità sociale grande. Molti di questi risultati sono stati attribuiti a un buon sistema assistenziale, a un equilibrio fra banche pubbliche e private e altre imprese e alla politica sociale di mercato austriaca,  la quale richiede, come difesa contro l’inflazione, un’oculata contrattazione salariale e limitazione dei prezzi, anzichè una dura politica monetaria e fiscale e la disoccupazione. Nulla di tutto questo sarebbe stato purtroppo possibile se le grandi figure dell’economia austriaca degli anni Venti e Trenta fossero rimaste in patria a esercitarvi un’influenza egemonica.

Un carattere singolare e significativo del sistema classico fu l’assenza in esso di una teoria delle depressioni: cosa, peraltro, non sorprendente, in quanto esso ne escludeva per natura le cause pertinenti.[…]Da tutto questo derivava un’altra conseguenza ovvia: poteva non esserci un rimedio per la depressione se la depressione era stata esclusa dalla teoria. I medici, persino quelli di maggiore reputazione, non hanno una cura per una malattia che non può esistere.[…]Dopo il crollo della borsa del 1929, la Grande Depressione si abbattè sull’economia americana, gli economisti nella tradizione classica, ossia quasi tutti gli economisti, si fecero da parte. Era una reazione prevedibile.Due fra le principali figure del tempo, Joseph Schumpeter, ora a Harvard, e Lionel Robbins, della London School of Economics, si premurarono di raccomandare specificamente di non fare nulla.[…]<<la nostra analisi ci conduce a credere che la guarigione sia autentica solo se viene da sè>>

Wesley C. Mitchell che non era condizionato da legami con la teoria classica, concluse che ogni ciclo economico era una serie di eventi unica e aveva una spiegazione unica perchè come egli disse, era il prodotto di una serie di eventi similmente unica.

Nell’aprile del 1936 il Republican National Commitee reclutò un trust di cervelli per l’economia, sul modello introdotto da Roosevelt, il quale era formato, come si conveniva all’orientamento del Partito Repubblicano, da vari fra i più insigni studiosi conservatori – ossia rigorosamente classici – del tempo. Si racconta una storia, che è andata probabilmente arricchendosi nel passare di bocca in bocca, su uno di questi consiglieri, Thomas Nixon Carver di Harvard. Non rendendosi conto che, in conseguenza della sua designazione, le sue parole avrebbero avuto una risonanza particolare, egli parlò pubblicamente dell’opportunità di sterilizzare tutti i poveri degli Stati Uniti, così che essi non potessero procreare, e quindi perpetuare la propria schiatta. Egli definì povero chiunque guadagnasse meno di 1800 dollari all’anno, categoria che abbracciava allora circa metà della popolazione americana. Il trust di cervelli repubblicano fu messo da parte senza far rumore ma fermamente.

La convinzione che i controlli dei prezzi e della produzione in agricoltura siano intrinsecamente sbagliati non si è oggi del tutto dissolta. Ancora all’inizio degli anni Ottanta l’amministrazione Reagan esercitò dapprima nei confronti di tali controlli quella che sarebbe stata rapidamente riconosciuta come un’opposizione retorica, ma ben presto ci fu un rinnovato intervento a costi senza precedenti. I professori Samuelson e Nordhaus nel loro testo respingono questa politica con una breve nota di biasimo:<<Un abituale programma governativo consiste nell’aumentare le entrate degli agricoltori riducendo la produzione agricola[…] Poichè per la maggior parte dei cibi e mangimi la domanda è anelastica, la limitazione della produzione può accrescere le entrate (degli agricoltori). […] A pagare sono, ovviamente, i consumatori. Questa non è una politica che si possa accantonare a cuor leggero. Che neppure i sostenitori del sistema classico siano disposti a tollerarla nella sua forma più pura è un fatto altamente significativo della vita economica moderna. Che essa non sia tollerata in nessuno dei paesi industriali apporta una forte una conferma su questo punto. Essa non è accettata in Giappone, dove i prezzi agricoli sono fortemente protetti; non, certamente, nel Mercato comune europeo, dove i prezzi agricoli ricevono una quota importante di attenzione e di denaro; e non nella Svizzera, ritenuta patria della libera impresa, dove le mucche vivono dell’erba dei pascoli montani e i loro proprietari dei sussidi forniti dal governo. Occorre sottolineare di nuovo questo punto: è un fatto importante nella moderna storia dell’economia che il sistema di mercato classico non sia oggi più tollerato là dove si presenta nella sua forma più pura.

Pigou riteneva che purchè la produzione totale non fosse stata ridotta dagli interventi di ridistribuzione, il benessere economico generale – la somma totale di soddisfazione ricavata dal sistema – fosse senza dubbio migliorato dal trasferimento di risorse spendibili dai ricchi ai poveri. L’utilità marginale del denaro – secondo Pigou – diminuiva al crescere della sua quantità; perciò i poveri traevano più piacere dei ricchi da un aumento delle loro entrate e dei beni così ottenuti.

Nessun atto legislativo nella storia americana fu attaccato più aspramente dai portavoce del mondo imprenditoriale della proposta del Social Security Act. Il National Industrial Conference Board ammonì che <<l’assicurazione contro la disoccupazione non può essere fondata su una base finanziaria legittima>>; la National Association of Manufacturers disse che essa avrebbe facilitato il <<finale controllo socialista della vita e dell’industria>>; Alfred P. Sloan Jr., allora direttore della General Motors, affermò recisamente: <<i pericoli sono manifesti>>; James L. Donnely, della Manufacturers’ Association dell’Illinois, disse che la proposta di legge sulla previdenza sociale era un disegno per minare la vita nazionale <<distruggendo l’iniziativa, scoraggiando il risparmio e soffocando la responsabilità individuale>>; Charles Denby Jr., dell’American Bar Association, disse che <<prima o poi essa determinerà l’inevitabile abbandono del capitalismo privato>>; e George P. Chandler, della Camera di commercio dell’Ohio, ammonì piuttosto sorprendentemente che il declino di Roma poteva essere ricondotto a un’azione del genere. In una parafrasi generale di tutte le loro posizione, Arthur M. Schlesinger Jr. scrisse:<< Con l’assicurazione contro la disoccupazione, nessuno avrebbe lavorato; con l’assicurazione di vecchiaia e di riversibilità nessuno avrebbe risparmiato; ne sarebbe risultato un declino morale, una bancarotta finanziaria e il collasso dello Stato>>. Il deputato John Taber, dello stato di New York, parlò al Congresso a nome dell’opposizione economica:<<Mai, nella storia del mondo, è stata introdotta alcuna misura così insidiosamente progettata per impedire il risanamento dell’economia, per asserivre i lavoratori e per togliere agli imprenditori ogni possibilità di fornire lavoro alla gente>>. Un suo collega, il deputato Daniel Reed, fu più succinto:<<Si sentirà la sferza del dittatore>>. L’opposizione repubblicana votò quasi unanimemente per il rinvio, ossia per la bocciatura, del progetto di legge, ma quando esso arrivò all’emiciclo prevalsero altre considerazioni del momento. Il progetto fu approvato a larghissima maggioranza, con 371 contro 33.

Galbraith finisce dicendo che “La previdenza sociale è oggetto sia di vituperio sia di amore, ma l’amore trionfa” <— morreich.

Ci furono Keynesiani già molto tempo prima di Keynes. Uno di essi fu Adolf Hitler, che nell’assumere il cancellierato nel 1933, senza lasciarsi impacciare da alcuna teoria economica, varò una grande programma di opere pubbliche, di cui l’esempio più vistoso furono le Autobahnen (autostrade). Le spese per opere pubbliche furono seguite solo molto tempo dopo dalle spese per gli armamenti. I nazisti non si lasciarono condizionare nemmeno dalla limitazione delle entrate fiscali: il finanziamento in disavanzo era dato per scontato. L’economia tedesca uscì dalla depressione distruttiva di cui aveva sofferto in precedenza. Nel 1936 la disoccupazione, che aveva avuto un’influenza grandissima nel portare Hitler al potere, era stata sostanzialmente eliminata. Il mondo economico non si lasciò impressionare; Hitler e i nazionalsocialisti non erano un modello da imitare. Visitando il Reich in quegli anni, diversi economisti e le voci più autorevoli della scienza finanziaria ne previdero quasi unanimemente il disastro economico. In conseguenza di indirizzi economici sconsiderati, se non folli, l’economia tedesca era secondo loro destinata a crollare; il nazionalsocialismo sarebbe stato screditato e sarebbe scomparso. Heinrich Bruning, il cancelliere inflessibilmente ortodosso che aveva governato nel precedente periodo di disoccupazione e di miseria, entrò a far parte del personale docente di Harvard, dove non perse occasione di parlare, a ogni pubblico disponibile, delle gravi conseguenze che sarebbero seguite all’abbandono, da parte della Germania, dei suoi indirizzi rigorosamente austeri, indirizzi che negò recisamente avessero avuto qualche influenza sulla disperazione che aveva condotto all’ascesa del nazismo.

Essi (gli economisti di Stoccolma) ritenevano invece che nei tempi di prosperità il bilancio dello Stato dovesse essere in equilibrio, mentre in periodi di depressione lo si squilibrare deliberatamente, così che l’eccesso delle spese sulle entrate sostenesse la domande e l’occupazione. Negli anni trenta, a Stoccolma, con molto anticipo rispetto a Keynes, si diceva e si faceva tutto questo; in un mondo che badasse alla precisione terminologica si dovrebbe parlare non di Rivoluzione keynesiana bensì di Rivoluzione svedese.

Dopo essersi laureato a Cambridge nel 1905, si presentò agli esami  per entrare nell’amministrazione dello Stato, ma fece male in economia:<<Evidentemente conoscevo sull’economia più dei miei esaminatori>>. Sopravvissuto a questa ignoranza dei funzionari statali, scrisse un libro molto tecnico che ebbe buone accoglienze sulla teoria della probabilità, ne cominciò un altr sulla moneta indiana e tornò a Cambridge con una borsa di studio assegnatagli  personalmente dal professor Arthur Pigou.

Posted in Libri | Contrassegnato da tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | Leave a Comment »